La politica e le competenze non cognitive?

– FOCUS –

La politica e le competenze non cognitive?

di Maurizio Spaccazocchi

Il deputato Maurizio Lupi, presidente dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà, è promotore del progetto di legge sulle Competenze non cognitive che è stato approvato dalla Camera l’11 gennaio 2022. Quindi, questa tipologia di ambigue Competenze non cognitive, dal prossimo anno, dovrebbero sperimentarsi in ogni ordine scolastico per un triennio di verifica.

In sintesi, quelle che in questo PDL vengono definite Competenze non cognitive, possiamo di seguito indicarle così: Consapevolezza di sé, Gestione delle emozioni, Gestione dello stress, Empatia, Comunicazione efficace, Relazioni efficaci, Pensiero creativo, Saper risolvere i problemi, Saper prendere decisioni. Già da questi soli titoli, che naturalmente rimandano ad altri più consistenti contenuti, è possibile iniziare a fare le nostre seguenti considerazioni critiche.

Competenze non cognitive tra vita e didattica

Molte di queste competenze, oltre a far parte già da tempo della didattica scolastica, fanno parte della vita, e forse facevano parte anche di alcuni tratti umani presenti nel Libro Cuore di Edmondo De Amicis, in cui l’alunno Derossi era il modello di bontà; l’alunno Garrone di generosità; l’alunno Stardi lo era per la sua testardaggine, quando invece l’alunno Votini rappresentava tutta la sua invidia; poi c’era l’alunno Nobis campione di superbia, il problematico Franti più volte espulso per la sua identità bullo, come pure il malcapitato Precossi figlio di un padre che lo picchiava quasi ogni giorno.

E già, pensando di vivere all’interno della relazione umana con questa tipologia di studenti di fine Ottocento, come era possibile sostenere che questi stili e caratteri di vita facessero parte di Competenze non cognitive? E ancora con più forza critica, come si può pensare che la vita non sia, in ogni suo vissuto, un vero e proprio atto di cognizione?

Consultiamo a questo punto il dizionario: il termine Cognizione viene dal latino cognitio-onis, che deriva da cognoscĕre (conoscere). Quindi l’atto del conoscere, è un atto di cognizione, è la facoltà che si materializza nella capacità sia di apprendere e valutare la realtà circostante e la stessa nostra condotta di vita. In altre parole la cognizione è quella abilità che si acquisisce tanto durante il vissuto scolastico quanto in quello famigliare e sociale.

E allora, come si può sostenere che, tanto per fare un esempio, la consapevolezza di sé, o la gestione delle emozioni, oppure l’empatia o ancor di più il pensiero creativo, etc. siano definite Competenze non cognitive dall’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà e ancor peggio dal MIUR? Non dovrebbero trovarsi qui, in queste istituzioni, i più alti competenti in psicologia, pedagogia, metodologia dell’educazione e di didattica scolastica?

La cognizione è conoscenza

La cognizione è conoscenza in ogni momento e, in quanto tale, il cognoscĕre non può scindersi in competenze cognitive e non cognitive. È per noi tutti giusto pensare che ogni atto di conoscenza non si possa racchiudere in una disciplina scolastica che, come sappiamo, è frutto di selezioni e di combinazioni che limitano di tanto la reale complessità degli atti di cognizione-conoscenza, come viene a nostro sostegno il filosofo e sociologo Edgar Morin:

… la conoscenza non è insulare ma peninsulare e, per conoscerla, è necessario collegarla al continente di cui fa parte. L’atto di conoscenza è… biologico, cerebrale, spirituale, logico, linguistico, culturale, sociale, storico e la conoscenza quindi non può essere dissociata dalla vita umana e dalla relazione sociale. […] È infine tutta la relazione fra l’uomo, la società, la vita, il mondo che viene a essere coinvolta e riproblematizzata in e attraverso la conoscenza della conoscenza. [1]

Da queste parole possiamo ribadire ancor di più l’inesistenza di quelle Competenze non cognitive che la politica e il ministero legiferano con questa inesatta definizione. Infatti gli studiosi e scienziati di più parti del mondo hanno preferito usare il termine inglese di Life Skills, indicando così tutte quelle abilità che poi nella pratica del saper vivere si materializzano in azione e saperi positivi. Si tratta di cognizioni utili tanto all’interno del mondo scolastico quanto per poter affrontare la quotidianità e per continuare a ri-com-prendersi cognitivamente grazie ai tanti vissuti che ogni persona può esperire e pro-muovere.

E allora, “toccando” i temi relativi alle competenze come l’empatia, l’etica, la morale, l’affetto e l’amore, come si fa a non considerarle esperienze di profonda e intima cognizione? Ad esempio proviamo a considerare una parola come Cuore, così tanto per sostenere con più sensibilità nostra critica. Il Cuore, pur nella sua realtà biologica, ci collega ai sentimenti, alle passioni, all’amore, all’empatia e al rispetto umano per la vita. Infatti chissà quante volte avremo utilizzato la frase Amico del cuore o Ti amo con tutto il mio cuore o ancora Mi sono aperto a te con tutto il cuore.

E il Cuore è pure, ormai da anni, usato come mezzo di comunicazione visiva nei tantissimi sms pieni di cuoricini in tante versioni emoticon. Ed è altrettanto corretto sapere che la parola Cuore viene dal latino Càrdium e dal greco Kardìa, e che anche nella lingua inglese troviamo similitudini fonosimboliche con Hearth, come anche in sanscrito è presente Hrid che ci rimanda al significato di Interiora, di Viscere, di Budella e di Corda, parola, quest’ultima, intesa anche come corda presente negli strumenti ad arco (forniti originariamente di corde fatte con le budella animali).

Eppure quel Cuore, quell’Amore, quelle Emozioni risultano essere, per questi “esperti” Competenze non cognitive! Ma se fosse davvero cosi, come risultano possibili tutte queste forme linguistiche che dal Cuore si ampliano verso atti cognitivi molto diversi e lontani dalla parola stessa che li origina? Il nostro Cuore è di fatto traslato in diverse cognizioni verbali, come per esempio è nella Concordia fra le persone, nel Coraggio per affrontare un problema, nel Cordoglio per la perdita di un amico caro, nella Cordialità che dovremmo avere tutti nell’incontrare le diversità umane d’ogni genere, nella Misericordia come sentimento di compassione e di empatia e, tanto per portare a conclusione questa nostra critica, da Cuore prende vita pure l’importantissimo atto cerebro-cognitivo del Ricordare.

Che tutto questo non sia stato Ricordato dai nostri politici e ministri? E forse è stato pure dimenticato dai più sensibili professionisti delle pedagogie e psicologie scolastiche, magari “rapiti” dal bisogno sempre più impellente di quelle discipline tanto disciplinate e limitanti. Infatti, è stato all’interno della sola cognizione disciplinare che si è dato vita e forma al potere dell’insegnare. Un potere mirato a nascondere molto spesso il male di vivere che, anche questo, non è per nulla una Competenza non cognitiva, quanto piuttosto una vera e propria cognizione esistenziale non voluta riconoscere per colpa di quel non pro-mosso Coraggio fisico ed emotivo unito a quella non ac-colta Misericordia che anche noi, educatori e insegnanti, avremmo dovuto saper coltivare con la più profonda e intima cognizione.

Note
[1] Morin E., La conoscenza della conoscenza, Il metodo 3, Raffaello Cortina, Milano 2007, p.16.