“Una scuola può tutto”.
Simonetta Salacone ne era convinta, e a questo principio ispirava tutto il suo lavoro di insegnante e dirigente scolastica, per trasformare le aule in fucine di democrazia e inclusione.
Simonetta se n’è andata in una notte di gennaio, lasciando dietro di sé un vuoto enorme e una scia luminosa di battaglie, sogni e conquiste. La ricordiamo come la “pasionaria” dell’Iqbal Masih, la scuola di Roma che ha diretto con visione e coraggio, rendendola un laboratorio vivo, aperto, ribelle.
Contro i tagli, contro l’indifferenza, contro la retorica, Simonetta era diventata simbolo di una scuola diversa, aperta giorno e notte, dove si facevano lezioni ma anche cinema, teatro, feste, proteste, dibattiti. Era una scuola senza orologi, mossa dalla passione. Un luogo dove i bambini erano al centro, tutti, nessuno escluso: rom, sordi, poveri, stranieri, emarginati.
Salacone non era “normale”. Non si limitava a dirigere ma agiva, ascoltava, organizzava, abbracciava. Si batteva per ogni alunno, andava negli uffici a chiedere diritti, risolveva i problemi parlandone in cortile, in assemblea permanente. Era una rivoluzionaria della scuola pubblica, armata solo di Costituzione e umanità.

